Il "caso Wikileaks": possiamo ancora parlare di "Internet for Peace"?

Più di 250.000 documenti "riservati" (non secretati) fanno tremare il mondo. Julian Assange ha colpito ancora e tramite la sua "creatura" Wikileaks tiene in scacco i grandi (o piccoli?) del mondo, pubblicando gli imbarazzanti rapporti delle ambasciate USA sui governi degli alleati.

Sul contenuto dei documenti tutti possono farsi un'idea propria. La mia prima riflessione, invece, è sulle modalità di pubblicazione e sulle possibili conseguenze di questo storico scoop. E così mi sono posto 5 semplici domande.

1. Siamo sicuri che la pubblicazione di 250.000 documenti in un colpo solo sia un bene per "la notizia"? In realtà altri file saranno messi online a breve e nei prossimi mesi, ma sono sicuro che tra le migliaia di informazioni rivelate resteranno solo le pagelle attribuite ai capi di governo. Gli aggettivi imbarazzanti che oggi ci fanno votare il leader che "ne esce peggio". Si, come al Grande Fratello: Berlusconi è il gigolò, Gheddafi l'ipocondriaco, Sarkozy l'imperatore nudo. Chi vuoi eliminare? E così passeranno in secondo piano gli accordi sottobanco tra Italia e Iran, le manovre di controllo degli USA sulle Nazioni Unite, i rapporti tra Karzai e i talebani. Siamo sicuri che, in questo modo, Wikileaks abbia contribuito allo svelamento della verità e non abbia, invece, sollevato soltanto un polverone?

2. Chi è il vero bersaglio di questa operazione? Non certo Berlusconi o Putin che, al massimo, dovranno fare i conti con le opposizioni interne e con l'opinione pubblica del proprio Paese. Per sedare la quale basta - secondo SB - solo una risata. Il vero target preso di mira da Assange è il Dipartimento di Stato USA che fa capo a Hillary Clinton e, in seconda battuta, il Presidente Barack Obama. Proprio il capo di governo più "internettiano" del mondo, il portabandiera della libertà di espressione in Rete, il candidato che - venuto dal nulla - ha fatto della Rete il principale sponsor che gli ha permesso di diventare Presidente degli Stati Uniti d'America.

3. Siti "open" e a contributo pubblico (seppur limitato e altamente verificato) come Wikileaks hanno ancora bisogno di essere sostenuti dall'autorevolezza dei quotidiani storici? Julian Assange ha scelto 5 tra le più grandi testate giornalistiche del mondo per affidare (o vendere?) la prima pubblicazione dei documenti, nel caso di un attacco, di censura o solo di malfunzionamento di Wikileaks. I quotidiani in questione - le cui versioni online in queste ore stanno monopolizzando i click della Rete - sono: New York Times, El Pais, Le Monde, Der Spiegel e Guardian. Quanto sarebbero stati presi sul serio i documenti pubblicati da Wikileaks senza questo sostegno del giornalismo "tradizionale" seppure online?

4. Perchè tra i quotidiani scelti non c'è un italiano? Uno americano, uno spagnolo, uno francese, uno tedesco ed uno inglese. Perchè non un italiano? Il Corriere della Sera o la Repubblica non sono giornali altrettanto autorevoli? Forse non hanno avuto abbastanza soldi per comprare l'anteprima? Forse non hanno avuto il coraggio per farlo? Chissà...

5. Come andrà a finire la vicenda? Ricorderemo la notte tra ieri ed oggi come l'11 settembre della diplomazia mondiale? Sarà l'inizio di una Terza Guerra Mondiale, dove tutti sono stati messi contro tutti? I politici di tutto il mondo risponderanno con un nuovo corso di trasparenza nelle relazioni internazionali o - come io credo - siamo all'alba di un nuovo oscurantismo e di un clamoroso giro di vite a Internet?

 

Premettendo che la colpa non è di Wikileaks, che ha solo scoperchiato il vaso di Pandora, ma di chi ha compilato questi documenti e dell'Amministrazione americana che fa un uso a dir poco personalistico della politica estera, sorge spontanea la domanda delle domande: possiamo ancora parlare di Internet for Peace?  L'uso del mezzo, così come lo ha interpretato Assange quali conseguenze avrà sugli equilibri del mondo? Farà del bene o nuocerà? Paradossalmente, Internet adesso è al servizio della pace o della guerra?

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