Piccolo apologo sul paese razzista

L'articolo di Michele Serra comparso oggi su "la Repubblica" mi da lo spunto e quindi ha stimolato in me la necessità di scrivere e rendervi partecipi di un episodio.

Milano. In un supermercato di non estrema perifieria erano in fila tre ragazzi di origine nordafricana (per "origine" intendo i tratti somatici e non certo il paese natale). Stavano per pagare tre bicchieri di thè e un pacco di patatine. Vivevano i propri anni. 15... 16... 17. Adesso non saprei dire quanto ma discutevano in un misto di italiano e arabo sull'essere "uomo" legato alla crescita della prima peluria mascolina sul volto. Dialoghi che facevano sorridere. Che imbarazzavano per la loro ingenuità e semplicità. Il sedicente "neo-barbuto" riteneva che il pelo fosse sintomo di una materuzione già in atto. Gli altri due, più glabri ma anche più avveduti, gli ricordavano, invece, che la maturazione fisica è lungi dal procedere di pari passo con quella psicologica.

Il dialogo procedeva mentre il responsabile della sicurezza del supermercato si affannava per spostare e e sistemare dei cestini in prossimità dei ragazzi di colore. Non ce n'era necessità. Era un modo per controllarli, per far sentire loro vicina la presenza del controllore. Era evidente, più per noi che eravamo in fila a due passi dai ragazzi che dai ragazzi stessi.

Quanto siamo caduti in basso? In quale misura l'Italia ha cominciato ad aver paura di tutto e anche di sè stessa? Se solo l'omino della sicurezza avesse ascoltato quei dialoghi. Se solo noi sapessimo ascoltare...

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