Steve McCurry, gli occhi del mondo

Un faretto per ogni foto a risaltare i colori, le ombre, i tratti dei volti e le pieghe dei paesaggi. Una sala in penombra, installazioni a penzoloni dal soffitto. Non un percorso obbligato, fredda impostazione di una carriera dietro l'obiettivo fotografico, ma una selezione di scatti ricomposti per grandi tematiche. La guerra, la gioia, la bellezza, l'infanzia, l'altro, il silenzio. 6 sezioni in cui si sono dipanate le 240 foto di Steve McCurry che compongono la mostra "Sud-Est", a Palazzo della Ragione (Milano) e prorogata fino al 28 febbraio. Tutti conoscerete questo scatto, ma non tutti sapreste citarne l'autore. Anch'io ignoravo il nome di questo maestro della fotografia, ma dentro di me sapevo di invidiarne la capacità espressiva, il privilegio di essere nei posti in cui si fa la Storia o semplicemente tra la gente e i paesaggi che si vorrebbe visitare almeno una volta nella propria vita. Afghanistan, Pakistan, India, New York l'11 settembre 2001, Birmania, Colombia, Marsiglia, Roma... le tappe di una vita trascorsa in viaggio, a testimoniare situazioni, ad archiviare volti e rughe che esprimono condizioni, speranze, passioni, paure ed interrogativi. Come definireste questo volto se non interrogativo? Gli occhi verdissimi della donna afghana ritratta, Sharbat Gula, scrutano i nostri occhi di spettatori indiscreti e ci chiedono "perchè?". Perchè tanta sofferenza, ma soprattutto perchè noi occidentali abbiamo bisogno dei suoi occhi per accorgerci dei problemi di una parte del mondo così distante?

Oggi Sharbat Gula, a distanza di 20 anni, appare così. Invecchiata, segnata dal tempo molto più delle sue coetanee di questa parte del mondo, molto più delle donne che "valgono" e che si prendono cura della propria pelle. Eppure quelle rughe, quegli occhi, ancora adesso ci scrutano e ci interrogano. A distanza di anni, non abbiamo trovato le riposte alle sue domande.


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