La bellezza ci salverà... forse


Miriam Makeba, Leo Messi, Varlam Shalamov, Ken Saro-Wiwa. E un kalashnikov in teatro. Cosa hanno in comune questi personaggi e questo strumento di morte? Tutti raccontano di Roberto Saviano e tutti, a loro volta, sono raccontati da lui.

Ok, come avrete capito, oggi parlo di Roberto Saviano e del suo spettacolo "La bellezza e l'inferno" che fino ad oggi, 28 febbraio, è stato in cartello al Teatro Grassi di Milano. Io ci sono andato questo sabato (vedi foto e dedica qui sotto) e non vedevo l'ora di condividere questa esperienza. Più di due ore vissute in apnea, ad annuire, a trovarsi d'accordo con quello che lo scrittore napoletano sciorina sul palco, a sbirciare le quinte dove due dei quattro agenti della scorta garantiscono la sicurezza del teatro e sorridono alle battute del loro protetto-amico. Si, perchè nonostante la condizione di costrizione e di "latitanza" al contrario che Saviano sta vivendo, non gli è ancora passata la voglia di scherzare, di fare ironia sulle storture e le contraddizioni del mondo che viviamo, nella vita e nella morte, nella bellezza e nell'inferno.

Scopro così della situazione terribile di Castel Volturno, dove una colonia di nigeriani lotta nel silenzio generale, schiacciato tra la camorra e la mafia nigeriana. Scopro la forma di un kalashikov, i versi di Shalamov. Rivedo il sorriso di Miriam Makeba, quello che avevo incrociato anni fa su un piccolo palco pugliese, lei LA cantante africana di "Pata Pata" ed io uno dei "ragazzi di SdC" che aiutavano il giornalista del Tg1 nel suo processo di affermazione sul territorio natìo. Inorridisco per la rivolta in Iran, quella che tutti noi ricordiamo come la "rivoluzione di Twitter".
Mi indigno per la scorta ad uno scrittore costretto a cambiare mille rifugi, ad uscire dai confini nazionali per poter vivere una vita che non sarà mai normale, per poter continuare ad aprirci gli occhi dalle pagine di un giornale inviso al Primo Ministro. Non parlo di un paese africano, di una dittatura lontana. Parlo dell'Italia. Purtroppo.

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