Le multinazionali: "Questi italiani bamboccioni poco intraprendenti"

di LUISA GRION

ROMA - Non sanno l'inglese, hanno poche idee piuttosto confuse e scarsa capacità propositiva: sì, in fondo i ragazzi italiani sono davvero un po' "bamboccioni". Le aziende internazionali che hanno a che fare con i nostri neolaureati danno ragione a Tommaso Padoa-Schioppa che quando utilizzò quel termine, qualche mese fa, scatenò risentimenti e polemiche in più di una generazione. Ma a sentire chi gira le università a caccia di nuovi talenti l'analisi dell'allora ministro dell'Economia non era del tutto sbagliata.

Lo dicono molte delle 115 aziende che ieri, nel "career day", hanno invaso i cortili di una delle più importanti università private, "la Luiss" di Roma, per contattare possibili reclute. Cosa cercano e cosa trovano negli studenti italiani? Al di là delle specifiche esigenze ci sono richieste comuni: il neolaureato da "iniziare" non deve superare una certa età (spesso 25 anni, qualche volta 28) deve conoscere bene l'inglese, avere un buon voto di laurea (in genere non meno di 100/110), offrire disponibilità e dimostrare autonomia. La prima scrematura si fa su questi valori.

Ma sui risultati, non ci siamo. L'inglese prima di tutto: "I neolaureati assicurano di averne una buona conoscenza, ma spesso non è così - commenta Pierfrancesco Matarazzo, responsabile Risorse Umane per Dexia Crediop. Stesso rilievo per Microsoft: "La lingua è un vero problema, a tutti i livelli: lo scorso anno cercavamo 40 figure di alto profilo e non siamo riusciti ad assumere nemmeno un italiano, il livello tecnico in diversi casi era eccellente, ma l'inglese un disastro" dice Els Van de Water, senior manager Risorse Umane della multinazionale. Ma non è solo questione di "fluent english" mancano anche idee e autonomia. Il modo di proporsi per esempio: "Invece di dirci loro cosa sanno fare o cosa vorrebbero fare ci chiedono: voi cosa offrite?" notano alla Microsoft. Quanto ad autonomia, nei curriculum scarseggia. "Valutiamo bene l'Erasmus, certo, ma ci piace molto anche sapere se i ragazzi cercano di cavarsela da soli, magari facendo i baristi o i camerieri, possibilmente all'estero, per mantenersi agli studi. Lo riteniamo un ottimo avvio alla "gestione clienti" - dice la Van de Water - ma se da noi ciò è quasi prassi (lei è belga ndr) qui no, o almeno non lo si ritiene un requisito importante da inserire nel curriculum, spesso farcito di titoli che non raccontano niente. Bamboccioni? Un po' sì". Altra questione: la disponibilità a qualche sacrificio. "Qualche anno fa ce n'era un po' di più - dice Carlo Berardelli socio delle revisioni alla Deloitte - anche per le retribuzioni: noi ai neoassunti offriamo 22mila euro lordi di partenza, ma investiamo talmente tanto sulla formazione che dopo cinque anni sei sul mercato. Non tutti lo capiscono e non tutti sono disposti a spostarsi, nemmeno fra Roma e Milano".

E la preparazione com'è? Era decisamente migliore quando c'era il corso di laurea tradizionale. "Con il 3 più 2 di adesso si è perso in teoria e non si è guadagnato in pratica" è il commento generale. Ma è proprio così? "Nooo" è il coro dei ragazzi. Da Cristiana ad Andrea, da Viviana a Stefano tutti si dicono "disponibilissimi" sia a muoversi che a partire da zero. "Sono le aziende che se possono, negli stages, ci usano per fare fotocopie" accusano. Riassumendo, comunque, a tutti loro si può dare qualche consiglio: Erasmus, inglese e voglia di sporcarsi le mani. Tre mesi da cameriere a Londra possono valere più di molti altri titoli.

da laRepubblica.it - 31 maggio 2008



Avrei migliaia di cose da dire. Sia ai responsabili risorse umane intiervistati che ai ragazzi. Studiare, studiare e impegnarsi è quello che direi ai ragazzi, in prima battuta. Ma ai responsabili d'azienda chiederei un pò di comprensione. Hanno fatto della ricerca del lavoro un altro lavoro... Hanno teorizzato come fare un CV e come sostenere un colloquio. Riportiamo tutto alle competenze, ai comportamenti, al modo di porsi... Non fossilizziamoci sulle esperienze all'estero o sul saper stirare una camicia. Ci sono mille e più motivi che possono intervenire nelle scelte di una persona: la situazione economica propria e della famiglia, gli studi, le priorità, i valori... E poi... Ci volete più sicuri sul lavoro che vogliamo fare? Ci volete determinati su alcune posizioni? E allora dateci le opportunità per entrarvi, dateci le possibilità. Non relegateci alla fotocopiatrice e non demoralizzateci se vogliamo fare quello per cui abbiamo studiato. E poi credete davvero che un ragazzo alla prima esperienza lavorativa, senza una lira, si fossilizzi sulla posizione lavorativa preferita? Quello che c'è va SEMPRE più che bene!!!

Commenti

  1. se avessi qui davanti a me Luisa Grion e Padoa Schioppa avrei proprio qualcosa da dir loro. A voce molto alta.
    Perchè io bamboccione lo sono per davvero. Ma mica per scelta. Mi ci hanno tirato dentro.
    Io avevo fatto di tutto per non diventarlo. E avevo seguito tutti i consigli di Repubblica.
    Ho fatto Erasmus in Francia, per un anno. Mi sono laureato a 25 anni con il massimo dei voti. E con una laurea ancora di vecchio tipo. Ho lavorato sei mesi a Londra, di cui tre da cameriere e uno da aiuto-cuoco. Ho viaggiato, cambiato spesso città e nazione, e sono ancora disposto a farlo. Mi sono sporcato le mani: ho lavorato come apprendista grafico, come cameriere stagionale e come caposala, come operatore all’autogrill e come impiegato.
    E infine come professore. Almeno ora le mani non me le sporco più.

    Insomma, parlo inglese e francese. Ho fatto la vecchia laurea e non la nuova. Mi sono spostato e ho viaggiato. E anche tanto. Ho fatto il cameriere a Londra per tre mesi. Mi sono sporcato le mani facendo lo stagionale e i lavori più improbabili, quelli di cui la nostra classe dirigente ignora persino l’esistenza. Perchè alla fine i soldi sono soldi, comunque arrivino. E perchè credevo nel merito.

    Ho fatto tutto quello che ha consigliato LUISA GRION su Repubblica.

    Tutti però si erano dimenticati di dirmi una cosa: che le regole del gioco sono truccate. Che in Italia non serve ammazzarsi di lavoro. Semplicemente perchè il lavoro non paga.
    In Italia devi nascere nella famiglia giusta. Mio padre e mia madre non sono ricchi. E questo in Italia è il vero problema. Questa è la mia colpa.

    Il padre di Tommaso Padoa Schioppa, invece, si chiama Fabio Padoa Schioppa, ed è l’amministratore delegato delle Assicurazioni Generali.

    Questa è la vera differenza tra un bamboccione e un “emancipato”. Il resto sono chiacchiere. Il lavoro in Italia, purtroppo, non paga.

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