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Ogni fine settimana orde di pugliesi, calabresi, campani e lucani si danno appuntamento sui treni in partenza da Milano o da Torino per parlar male della loro terra. Sono tutti concordi nel dire che "sono sempre i migliori quelli che se ne vanno" (riferendosi agli emigrati dal Sud al Nord e non ai dipartiti a miglior vita) e che "non si può fare di tutta l'erba un fascio, ma i più incivili sono sempre i meridionali". Chi sono questi personaggi? Qual è il prototipo del meridionale scontento, del moralizzatore di un'intera generazione? In genere maschio, di età variabile tra i 30 e i 40 anni, nato in provincia, di sani principi e di buona educazione, viaggia sempre insieme alla sua inseparabile valigia, contenitore di poco all'andata e dispensa prelibata al ritorno verso il Nord. Il maschio in questione è un ottimo lavoratore, infaticabile e motivato, spesso fidanzato o sposato con una milanese d.o.c. Ma come vive il nostro moralizzatore? Vive male. Vive male la lontananza dalla sua terra, si professa patriota e amante delle natìe origini, previa criticarle non appena si risveglia in lui il latente "milanese"... L'emigrato dal Sud non perde tempo a cambiare accento, si integra per omologazione, per osmosi e non per convinzione, impara presto a non "santificare" la domenica con un buon ragù, ma con la cotoletta, fa dei soldi la propria unica ragione di vita: tutto ciò che un milanese non è e non è mai stato. Il perfetto emigrato del Sud impiega poco tempo a trasformarsi nello stereotipo del milanese. Il risultato? Un ibrido ridicolo e patetico, che odia i suoi compaesani, ma ama la sua terra. Che ama mangiare bene e che identifica la cultura di una regione esclusivamente con i suoi piatti tipici.

Ma, soprattutto, il buon meridionale scontento si sente figo. Ci mette poco a paragonarsi con i suoi stessi familiari che, tapini, hanno preferito restare al Sud e "acontentarsi di quel poco che la nostra amata terra offre". Il meridionale scontento crede di essere il migliore, crede di appartenere alla categoria dei cervelli in fuga perchè non valorizzati nel proprio Paese. In parte adesso avviene questo. Un'elevata scolarizzazione nel Sud Italia ha portato ad un lento assorbimento delle nuove leve nella classe dirigente, tra i quadri e tra i dirigenti del futuro. In altra parte si tratta di mistificazione. Siamo stati più furbi di altri nello scegliere di spostarci a Milano in cerca di realizzazione? Abbiamo assecondato la nostra voglia di affermazione o di ambizione? Ci siamo distinti dalla massa o abbiamo perso una battaglia? Io credo che, lungi da me l'intenzione di generalizzare, ognuno segua le proprie aspirazioni e le opprtunità di lavoro che gli si prospettano in base alle proprie caratteristiche personali. Ma, in linea di massima, chi sale ha torto. Chi sale ha perso. Chi sale è stato sconfitto dal sistema non meritocratico, chiuso, conservatore, del Sud Italia. Chi sale non ha lottato abbastanza. Chi sale decreta la fine del Sud.

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