L’Italia? È un paese per precari

Tutti precari in Italia. Sembra che nel nostro strano paese si sia diffusa una strana moda: il precariato. Tutti possono “indossarlo”. Donne e uomini, giovani e meno giovani, vip e nip, laureti e no. Tutti. Anche i politici ogni due anni diventano, ma solo per un paio di mesi, precari. Lo è, addirittura, il Ct della nazionale di calcio italiana, Roberto Donadoni. E tutti sembrano felici di confermargli la “non conferma”.

“Un Ct senza contratto all’Europeo è (quasi) un valore aggiunto” si legge sulla Gazzetta dello Sport di sabato 29 marzo (la prima in formato tabloid e full color). E poi si riporta la dichiarazione di Giancarlo Abete, presidente Figc: “Non è una novità e porta anche bene. Del resto, l’ultimo esempio ci viene dal Mondiale, con Marcello Lippi che. Addirittura, moltiplicò le sue forze ottenendo una vittoria importante per il nostro calcio. Una situazione non inedita”.

Ecco. Adesso mi si dirà che lo stipendio di Donadoni non è propriamente quello di un normale precario e che in tanti vorrebbero essere al suo posto adesso. Sono d’accordo, ma il problema è un altro. Non è possibile far passare il concetto che il precario è più motivato a lavorare bene, ad ottenere risultati “straordinari” proprio perché è tenuto in bilico dal datore di lavoro. Quasi come un cagnolino a cui si tende e si ritrae l’osso… Cosa realizza un uomo, l’ottenimento di un risultato finalizzato ad un altro “mandato a tempo” e così fin verso l’infinito? O stabilità economica, garanzie per il futuro, certezza di poter vivere almeno per qualche anno senza preoccupazioni? Meditate gente, meditate.

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