Moda a Milano

Tutti ne parlano. Un'intera città impazzisce. I locali strabordano nelle sere "esclusive" e tutto il mondo si riversa nella fredda metropoli. Orde di ragazzi e ragazze farebbero carte false per parteciparvi. E' la moda a Milano. Nella settimana dal 16 al 23 il focus è sulla moda femminile. Già giorni prima modelle e aspiranti tali si aggiravano chiuse nei loro cappottoni e nei cappelli "alle 23" stringendo gelosamente il "book": la chiave del loro successo, il biglietto da visita per una professione per la quale non conta chi sei, ma come rendi in foto. Gli avidi propiretari di immobili a Milano hanno da tempo affittato stanze, buchi, soppalchi, letti a decine di ragazze provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo, in particolar modo da Asia ed Est Europeo.

Solo da pochi mesi questo mondo ha cominciato ad interessarmi. Eppure la curiosità di vedere il circo della moda a Milano era tanta. E così, provvisto di faccia tosta e tesserino da giornalista, mi intrufolo in Fiera e mi aggiro tra l'ufficio stampa, gli stand dei venditori e quello degli ospiti. Peccato per le sfilate. Lì si accede solo su invito delle case di moda. E quello, per ora, mi manca.

Le impressioni. Grandi spazi caratterizzano i corridoi e il piano dedicato alla stampa. Soffici colonne bianche arredano la struttura che al centro della sala ospita un'installazione con maxischermo fronte-retro. Un parallelepipedo, un Dio-totem che trasmette in diretta le immagini delle sfilate al piano di sopra, si staglia tra panche che come sedute trasmettono solo scomodità, mentre come design ricordano schizzi e striscie di tessuto casuali. Un vero peccato per chi soffre di agorafobia. Un'apparente segnale di apertura, che diventa subito oppressione, chiusura, casta, barriere, se ci si sposta ai confini della sala. Gli stand delle riviste di moda, delle concessionarie di pubblicità che si mettono in mostra ai visitatori, sono separate dal resto della scenografia tramite pannelli perennemente socchiusi. Dall'esterno si scorgono lauti pasti, buffet appena cominciati e non terminati, belle donne annoiate che sfogliano riviste e mai ti invitano a far loro almeno compagnia, ad illustrarti le loro attività, le bellezze delle pagine patinate che, unico motore, consentono a quesot mondo di vivere e di alimentarsi. L'autoreferenzialità è palese. Loro, i giornalisti, gli stilisti le case di moda stanno bene così. Si accontentano dei fashion victims, dei poveri giornalisti bisognosi di un cambio di vestiario, delle ragazze che aspettano un'occhiata, un occhiolino da parte dell'ultimo body guard compiacente per entrare alla sfilata e sfoggiare il vestito buono appena indossato.

Il secondo piano della struttura, infatti, cela questo sottobosco. Le ragazzine e i ragazzini che tentano disperati la corruzione dei body guard, i fotografi non accreditati che pregano per uno scatto rubato, i giornalisti poco noti che tentano di portare a casa il pezzo. Una questua che alimenta il mito, che trasforma in pochi gesti la moda dall'Alta Moda, il vestito dal mito, il sarto dallo stilista. Ai bordi della pista, dentro la bolgia della sfilata ci sono i personaggi più strani, i nani, le ballerine e gli amici giornalisti: la gente meno accreditata per dare visibilità all'evento. Eppure le sedie sono occupate da loro e non da chi ha la passione e aspetta interi giorni, fuori, per un autografo, uno sguardo, una possibilità.

Questa è la Moda a Milano. Grandi spazi per i deliri di onnipotenza, autoreferenzialità e spazi angusti per aumentarne il mito. Borse, foto, gadget, belle auto e belle donne. In fondo, è questo che ci piace, altrimenti che italiani saremmo?

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